La Nuova Sardegna

In carcere innocenti: incubi ordinari di malagiustizia in Sardegna

Luciano Piras
In carcere innocenti: incubi ordinari di malagiustizia in Sardegna

Francesco Mura racconta il caso di Aldo Scardella. Viaggio tragico negli errori del sistema penale 

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Sono passati 34 anni, ma per Cristiano Scardella è come se fosse successo ieri: il dolore e il tormento tengono la ferita spappolata, sempre aperta e ricoperta di sale. È terrificante vederlo mentre soffre ancora eppure racconta per l’ennesima volta con un coraggio immane la storia di suo fratello Aldo. «Quella di Aldo Scardella, 24 anni, di Cagliari, è forse una delle storie più drammatiche messe in scena dallo strapotere giudiziario di certi magistrati. Una di quelle storie di cui si è parlato troppo poco e che si è tentato, in tutti i modi, di nascondere» scrive Francesco Mura nel suo libro “Ingiustizia sommaria”. «Il 2 luglio del 1986, Aldo viene trovato impiccato nella sua cella nel carcere Buoncammino a Cagliari. Sul tavolo della cella un biglietto con la scritta “muoio da innocente”» va avanti Mura. “Storie di ordinaria malagiustizia” è il sottotitolo di questo saggio, Independently published, presentato qualche giorno fa al bistrot Capo Est di Capo Comino, davanti alle dune e alla spiaggia. Un insolito scenario, per un libro così tosto, sofferto e impegnato che ha tenuto comunque inchiodato e a bocca aperta il pubblico arrivato in bermuda, costume da bagno e t-shirt.

«L’errore giudiziario, anche se forse sarebbe meglio chiamarlo con il vero nome, ovvero orrore giudiziario, lo si può tranquillamente definire un fenomeno di massa» sottolinea Francesco Mura, giornalista nuorese di casa a Perugia e Bologna, fondatore e direttore della rivista “Delitti & Misteri”. Non c’è soltanto il famoso caso Tortora, insomma, «chiunque di noi, qualsiasi libero cittadino, può essere preso e ingiustamente condannato» mette in guardia Loredana Sanna, pedagogista clinica che si addentra nei meandri osceni della spettacolarizzazione delle tragedie. Piero Melis porta la sua drammatica testimonianza: lui, allevatore mamoiadino, è stato in carcere per 18 anni “inchiodato” da una perizia fonica totalmente infondata. Accusato di sequestro di persona, si è fatto 18 anni di carcere da innocente; sequestrato, lui sì, dallo Stato. «E ora che sono fuori mi sento comunque gli occhi sempre addosso» racconta, mentre sottolinea la fortuna di avere una famiglia solida, amici che gli sono stati sempre vicini. «Altrimenti c’è solo da impazzire» dice. «Da uomo certo della propria innocenza, non cede e continua la sua battaglia» scrive Mura nel suo libro riportando la storia di Piero Melis. Tornato a casa soltanto dopo che la revisione del processo stabilisce una volta per tutte che «nessuna delle voci intercettate appartiene a Melis».

Peggio ancora è andata a Merzioro Contena di Orune, che di anni in carcere da innocente ne ha fatti trenta. «Purtroppo sono casi molto frequenti» ribadisce l’avvocato Patrizio Rovelli, presidente dell’Osservatorio per la giustizia, nel suo puntualissimo e dettagliato intervento. «Come ovviare? Come cercare di ridurre questi casi?» è l’interrogativo che si pone Rovelli. «C’è ancora veramente tanta strada da fare» è l’amara risposta. A conferma di quanto scrive Angelo Matteo Socci, consigliere della Corte suprema di Cassazione, nella prefazione al libro “Ingiustizia sommaria”: «Ogni organizzazione, minimamente decente, dovrebbe apprendere dagli errori e assicurare misure idonee a non ripeterli. La struttura giudiziaria, invece, continua come prima e più di prima. Gli autori di gravissimi errori procedono indisturbati nella loro carriera (tutti presidenti o procuratori com’è successo nel caso Tortora)». E ancora, sempre Socci: «La colleganza tra procuratori e giudici, impedisce ai giudicanti la vera indipendenza. La separazione delle carriere (già auspicata da Giovanni Falcone) è sicura misura di igiene del sistema, il minimo esigibile per la riduzione degli errori. Solo un giudice indipendente può garantire una decisione pulita da gravi errori.

Tuttavia i giudici italiani devono ancora metabolizzare la riforma della condanna “al di la di ogni ragionevole dubbio”». Concetti ribaditi da un circostanziato intervento fuori programma dell’avvocato nuorese Lorenzo Palermo. Davanti ai sindaci di Siniscola e Mamoiada, Gian Luigi Farris e Luciano Barone, e all’assessora siniscolese della Cultura Paola Fadda. Tutti visibilmente scossi dalle parole e dalle storie che Francesco Mura ha raccolto in questo libro.


 

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